ALLA FONTE DELLA STORIA:
GLI ACQUEDOTTI ANTICHI

 

"Senza l'acqua niente di questo esisterebbe"



"Per Roma non fu diverso."



 

 



I DOCUMENTI

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La scelta di fondare la città vicino al Tevere (doc. 1) - fiume a regime irregolare [1], ma in nessun periodo dell'anno completamente in secca - garantiva alla popolazione l’acqua per bere e per gli usi agricoli. Oltre a ciò il grande corso d’acqua permetteva il rapido raggiungimento del mare, attraverso il quale si svolgevano già nell’VIII secolo a.C. numerosi traffici commerciali. In ultimo, ma non per questo meno importante, nelle vicinanze della foce del Tevere si trovavano delle saline naturali, dalle quali era semplice estrarre quel sale, così importante per la cucina e per la conservazione dei cibi.
Ben presto Roma divenne un centro politico e militare importante e la sua popolazione non fece che aumentare (doc. 2).
Era necessario garantire per gli abitanti un continuo afflusso di acqua e che esso fosse stabile e difendibile anche nei periodi in cui la città era impegnata in azioni di guerra con i popoli vicini. I problemi da risolversi erano nella successione:
-> rintracciare le sorgenti (doc. 3)
-> edificare delle opere di captazione [2]
-> trasportare l’acqua incamerata senza rimanere condizionati dalle caratteristiche del terreno (doc. 4). Un’opera rese particolarmente famosi i Romani: gli acquedotti [3]. (doc. 5)
Essi li costruirono in tutte le terre da loro conquistate. Molte di queste opere, non solo sono visibili anche ai nostri giorni (doc. 6), ma sono state utilizzate anche dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente [4] e, in alcuni casi, sono state per lunghi anni le uniche disponibili per trasportare l’acqua a numerose città. Roma stessa, fino ai primi decenni del XX secolo, ha dovuto fare affidamento agli acquedotti rimasti in eredità dal periodo antico.
La costruzione degli acquedotti non era sconosciuta agli etruschi, ma, per i Romani, essa divenne quasi l’oggetto simbolo della loro capacità di costruttori, insieme agli anfiteatri, ai ponti, alle opere di fortificazione. Inoltre l’acqua canalizzata e convogliata nell’Urbe [5] non era utilizzata solo per scopi pratici della vita di tutti i giorni. Alcuni studiosi [6] hanno sottolineato come vi fossero anche altri scopi non meno importati: la civiltà romana, attraverso l’acqua si divertiva mettendo in scena dei combattimenti tra navi, le famose naumachie [7], (doc 7 e 8) o si preoccupava del proprio benessere fisico, grazie alla frequentazione di bagni pubblici e terme, rendeva più belle le proprie case e le piazze, grazie alla presenza di ninfei [8] e di fontane ornamentali. In una parola grazie all’acqua trasportata dagli acquedotti il popolo romano si presentava in tutta la sua potenza: capacità tecnica, bellezza, lusso e spettacolarità.
Roma era la città più fornita di acquedotti (doc. 9).
Secondo la testimonianza di Sesto Giulio Frontino (doc. 10) [9], autore del commentario [10], dal titolo "De aquae ductu", in quel periodo a Roma vi erano nove acque di servizio condotte in città con appositi acquedotti:
-> Appia [11]
-> Aniene Vecchia [12]
-> Marcia [13]
-> Tepula [14]
-> Giulia [15]
-> Vergine [16]
-> Alsietina [17]
-> Claudia [18]
-> Aniene Nuova [19]
Qui termina l’elenco di Frontino ma, immediatamente dopo, vennero condotte nell’Urbe altre due acque:
-> Traiana [20]
-> Alexandrina [21]
Autori successivi a Frontino nominano anche altre acque ma si tratta, nella maggior parte dei casi, o di nuove denominazioni di acque in precedenza già conosciute con altro nome o di acquedotti non diretti a Roma.
Durante il medioevo la città di Roma, non più inserita nell’imponente struttura politica, militare ed economica dell’impero romano, conobbe un lungo periodo di declino e perse, oltre ad una grande quantità di popolazione, buona parte degli edifici pubblici adibiti al buon funzionamento della collettività: a questa sorte non sfuggirono gli acquedotti, distrutti nel corso di ripetuti assedi che si susseguirono a seguito delle guerre combattute in Italia tra il V ed XI secolo. Le scarse notizie storiche relative a questo periodo parlano di una Roma ridotta nel numero dei suoi abitanti e priva di acqua corrente: unica eccezione quella che ancora riusciva ad arrivare nell’abitato attraverso l’Acquedotto Vergine il solo che, grazie alla sua stessa struttura in gran parte sotterranea, era scampato a tale distruzione.
La perdita, pressoché totale, della rete di condutture che avevano servito anticamente Roma, rappresentò anche nei secoli seguenti un grave problema, affrontato sempre con difficoltà, a causa delle forti somme di denaro che occorrevano per costruire e mantenere in efficienza gli acquedotti. Le difficoltà economiche sconsigliarono, quindi, interventi generali e si preferì ripristinare il rifornimento dell’acqua riadattando i condotti che trasportavano le singole acque.
Verso la fine del XV secolo, in occasione della preparazione dell’Anno Santo del 1475, papa Sisto IV restaurò alcune arcate dell’acquedotto Vergine, nel tratto che dal colle Pinciano terminava alla fontana di Trevi, ma difficoltà economiche bloccarono il progetto di sistemazione di tutto il condotto. Solo sotto il pontificato di Pio V, l’architetto Giacomo della Porta poté ripristinare completamente, nel 1570, l’acquedotto. Circa due secoli più tardi, precisamente nel 1753, Benedetto XIV ordinò un nuovo generale controllo ed un nuovo restauro che prevedeva anche l’aumento della portata dell’acquedotto con l’apporto di fonti minori: la riuscita dell’impresa è ricordata in una lapide posta sul fianco della mostra
[22] finale dell’acquedotto, conosciuta come Fontana di Trevi (doc. 11).
Per quanto riguarda l’acqua Paola, essa deve il nome a papa Paolo V che decise, nel 1607, il restauro dell’acquedotto attraverso il riordino e la riorganizzazioni di fonti, già conosciute in epoca romana, intorno ai laghi Alsietino e Sabatino [2
3]. Il nuovo condotto, che terminava nella mostra sul colle Gianicolo, conosciuta con il nome di "Fontanone" doveva servire il rione di Trastevere, la zona sorta intorno della Basilica del Vaticano e la parte bassa della città, intorno alla zona del Ghetto ebraico. La presenza dell’acqua si giustificava anche con l’intenzione del governo pontificio di favorire la costruzione di alcune piccole fabbriche ed opifici a ridosso del colle Gianicolo, insediamenti industriali che il Comune di Roma dopo il 1870 ebbe cura di far allontanare dalla zona a causa dell’inquinamento da essi prodotto, che non permetteva lo sviluppo della zona di Monteverde, destinata a quartiere residenziale ed a sede di uffici pubblici (doc. 12).
Il terzo importante acquedotto della Roma di questo periodo fu l’acquedotto Felice, dal nome secolare di papa Sisto V, Felice Peretti. Questi nel 1585 diede inizio ai lavori che, anche in questo caso, portarono al riadattamento di antiche sorgenti, quelle che nell’antichità erano state condotte a Roma col nome di acqua Alessandrina. La realizzazione di quest’opera, che si concluse nel 1589, interessò direttamente anche gli organi comunali, che costituitisi a Roma nel XII secolo in parallelo con il governo pontificio amministravano la città di Roma [2
4]. I rappresentanti del Comune furono chiamati a contribuire alla realizzazione dell’opera con in cambio la possibilità di acquistare 100 once d’acqua da portare sul colle Campidoglio e da distribuire ai privati con un guadagno per le casse dell’amministrazione comunale (doc. 13).
L’interesse che questo tratto di acquedotto rivestiva per gli organi del Comune è testimoniato in vari documenti che si sono conservati nell’archivio della Camera Capitolina. Tra questi vi è un decreto [2
5], datato 25 maggio 1588, emanato dalla Deputazione dell’Acqua Felice [26] nel quale si fa divieto ai cittadini romani di fare allacci abusivi all’acquedotto Felice (doc. 14).
Con un altro decreto, del 29 novembre 1709, i Conservatori ordinavano che l’Architetto del Popolo Romano verificasse, almeno tre volte l’anno, integrità dei condotti dell’acqua (doc. 15).

 

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[1] Per capire cos'è il "regime di un fiume" bisogna per prima cosa calcolare quanta acqua passa in un punto preciso del suo corso. Questa quantità dovrà essere indicata in metri cubi al secondo (m3/s) e si chiamerà "portata del fiume". La media delle variazioni di questa portata, misurate nel corso dell'anno solare, ci daranno il "regime del fiume". Si parla di "regime regolare" quando la portata rimane quasi sempre la stessa e non ci sono grandi variazioni in base alle stagioni.
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[2] Il termine “captazione” deriva dal latino captare, “prendere”. Indica il luogo dove gli ingegneri romani concentravano le acque per poi incanalarle attraverso un condotto. Gli antichi chiamavano questo luogo “caput aquae”, cioè luogo d’origine dell’acquedotto.
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[3]
Il termine “acquedotto” deriva dal latino aquae ductus, cioè acque condotte, trasportate.
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[4]
Per convenzione generale si è fissata la data del 23 agosto 476 d.C., nell'occasione in cui Odoacre, generale di origine germanica depose l'imperatore Romolo Augusto. Non va dimenticato che dal 404 d.C. la capitale della parte occidentale non era più Roma, bensì Ravenna.
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[5] Il termine “urbe”, deriva dal latino urbs, che significa semplicemente “città”. La forma urbe, che corrisponde alla nostra espressione “città”, veniva usato per indicare la città più importante di tutte: Roma.
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[6] R. LUCIANI, Scienza antica e genialità costruttiva, in Roma archeologica, (XIV), aprile 2002.
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[7] Il termine “naumachia”, deriva dall’unione di due parole del greco antico nàys, cioè nave e makomai, cioè combatto. Quindi il suo significato complessivo è “battaglia navale”. Esse consistevano, principalmente, nell’allagare circhi ed anfiteatri, riducendoli a gigantesche piscine. In questa accezione si svolsero naumachie all’interno del Colosseo e le ultime naumachie furono date a Piazza Navona. Non era raro il caso però che imperatori romani decidessero di costruire appositamente delle strutture, anche provvisorie in legno e mattoni, da adibire solo a questo scopo. Attraverso scavi archeologici è stata rinvenuta traccia di una spettacolare naumachia costruita da Augusto nel 2 d.C. nella zona che oggi è occupata da Piazza Santa Maria in Trastevere, via Morosini, piazza San Cosimato, nel rione di Trastevere.
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[8] Il termine “ninfeo” deriva dal greco antico nymphaion, cioè “tempio delle Ninfe”, divinità della natura rappresentate come giovani donne. Sia presso i greci che presso i romani con questo la parola “ninfeo” si indicavano dei luoghi, sempre ricchi di acqua corrente e cascate, dove si potevano pregare le Ninfe.
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[9]
Sextus Iulius Frontinus, (40 – 104 d.C.) Non si possiedono date precise né per la nascita, avvenuta a Roma, né per la morte. Notizie più certe si ricavano dagli incarichi ai quali fu assegnato e che rappresentano la normale carriera (il cosiddetto cursus honorum) di un uomo della sua classe sociale: prima pretore (praetor urbanus) nel 70 d.C., poi ambasciatore (legatus) in Britannia. Nel 97 gli fu conferito l’incarico di magistrato delle acque (curator aquarum), con il compito di sorvegliare il rifornimento di acqua a Roma e di risolvere i problemi che si potessero creare. In conseguenza di tale esperienza egli scrisse il De aquae ductu, conosciuto anche con il titolo De aquaeductibus Urbis Romae commentarius, fonte preziosa di notizie storiche e giuridiche e di informazioni sulle tecniche di costruzione allora in uso.
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[10]
Tutto ciò che riguardava l’amministrazione delle acque di Roma era conservato in appositi registri detti, appunto, commentarii.
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[11]
L'Acqua Appia fu detta anche Augusta, dal nome di una sua ramificazione più tarda con la quale venne confusa. Essa fu condotta a Roma, per volontà dei censori Appio Claudio Cieco e C. Plauzio Venox nel 312 a.C. All'epoca della sua fondazione l'acquedotto sorgeva nella zona tra via Predestina e via Collatina, nei pressi del Fosso di Nona ed il suo percorso era praticamente tutto sotterraneo.
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[12]
Secondo Frontino l’acquedotto dell’Aniene Vecchio (Anio Vetus) fu edificato nel 481 dell’era di Roma (272 a.C.) e prendeva la sua origine direttamente dal fiume Aniene, a monte dell’odierna città di Tivoli. In conseguenza della sua origine la qualità dell’acqua non era sempre impeccabile.
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[13]
L'Acqua Marcia, che deve il suo nome a Q. Marcius Rex , pretore urbano, venne tratta in città nel 144 a.C., dalle sorgenti Rosoline al Km.61.500 della via Valeria. Fin dall'antichità fu considerata la migliore tra le acque di Roma per qualità e quantità.
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[14]
Il nome di Acqua Tepula (letteralmente "tiepida") le viene dalla sua alta temperatura. Essa fu condotta a Roma nel 126 a.C. da una sorgente nei pressi del moderno centro di Marino nei Castelli Romani.
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[15]
L'Acquedotto della Giulia fu realizzato nel 33 a. C. da Marco Vipsanio Agrippa, captando l'acqua da una località collinare nei pressi del moderno abitato di Grottaferrata, nella località dei Castelli Romani. A partire dal 1122 venne conosciuta anche con il nome di Mariana dopo che il papa Callisto II aveva fatto costruire un rivo artificiale.
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[16]
L’Acqua Vergine, fu portata a Roma nel 19 a.C. nel giorno consacrato alla festa delle Vestalia, vergini consacrate al culto della dea del focolare domestico, Vesta. Il suo acquedotto, sostanzialmente in uso ancora oggi, trae origine dalle sorgenti poste nella zona conosciuta come “Tenuta di Salone”.
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[17]
L'Acqua Alsietina fu condotta a Roma nel 2 a.C. da Augusto, con lo scopo di rendere possibile una grandiosa naumachia nella zona di Trastevere. L'acquedotto traeva origine dal Lago di Martignano (allora chiamato lago Alsietino), nei pressi di Bracciano, e pertanto era troppo impura per avere uso potabile.
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[18]
L'Acqua Claudia fu inaugurata nel 53 d.C. ma la data accettata comunemente è quella del primo agosto del 52 d. C., compleanno dell'imperatore Claudio. Le sue sorgenti si trovavano nei pressi di quelle della Marcia lungo la via Valeria in direzione di Subiaco.
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[19]
L’Acqua Aniene Nuova (Anio Novus) è anch’essa captata dal fiume Aniene subito dopo il comune di Agosta. L’aggettivo Novus fu aggiunto per evitare di confonderlo con il Vetus. Frontino afferma che il suo acquedotto fu inaugurato il primo agosto del 52 d. C., assieme all’acquedotto Claudio, mentre Tacito cita la data del 47 d.C.
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[20]
L'Acqua Traiana non è citata nel trattato De aquaeductibus Urbis Romae del Frontino in quanto sembra essere stata portata a Roma nel 109 d.C., pochi anni dopo la sua morte. L'acquedotto era rifornito da sorgenti diverse poste nei pressi del lago di Bracciano.
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[21]
L'Acqua Alessandrina prende il nome dall'imperatore Alessandro Severo, in un periodo non precisato del suo regno (tra il 222 ed il 235 d.C.). Le sorgenti sono state individuate all'altezza del quattordicesimo miglio della via Prenestina. Queste sorgenti furono incamerate nell'Acquedotto Felice voluto da papa Sisto V nel 1585 (al secolo Felice Peretti).
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[22]
Il termine "mostra" era usato con diversi significati. Uno di questi indicava le fontane monumentali che venivano costruite alla fine degli acquedotti e che avevano anche la funzione di abbellire la città
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[23] Erano questi gli antichi nomi, rispettivamente dei laghi di Martignano e di Bracciano. Per alcuni studiosi il lavoro commissionato da Paolo V rappresenterebbe, pertanto, la ristrutturazione degli antichi acquedotti Alsietino e Traiano.
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[24]
Impossibile in poche righe ricostruire i rapporti tra il governo pontificio e gli organi del Comune di Roma che furono, in alcuni periodi, di collaborazione ed, in altri, di acceso contrasto e i cambiamenti che, nel corso del medioevo, subirono le stesse istituzioni comunali, sull'esempio di quanto avveniva anche in altre città italiane. Per semplificare è possibile partire dalla seconda metà del XVI secolo, quando l'organizzazione degli organi comunali non cambierà fino al 1847. Il Comune di Roma era organizzato nel modo seguente: a capo vi era il Senatore, che aveva compiti di rappresentanza e presiedeva un tribunale civile e criminale al quale erano sottoposti i cittadini romani. I capi effettivi degli uffici comunali, conosciuti con il nome di Camera Capitolina, erano i Conservatori che curavano concretamente lo svolgersi delle attività che permettevano alla città di funzionare: tra di esse vi era anche la costruzione e manutenzione dell'acquedotto Felice.
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[25]
Il decreto era una decisione, singola o collettiva, che aveva la forza di un comando. Affinché queste importanti decisioni non andassero perdute in appositi registri del Comune venivano registrati, in ordine di emissione, tutti i decreti emanati dai Conservatori.
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[26]
Con il termine "Deputazione" si indicavano delle commissioni che potevano avere carattere permanente o che potevano essere costituite per la risoluzione di un particolare problema. Nel caso della Deputazione dell'Acqua Felice, si trattava di una commissione che costantemente seguiva il buon funzionamento del relativo acquedotto.

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